“Il gusto bizantino per la raffinatezza lineare e cromatica, che s’intreccia sempre più alla strutturalità romanica, conserva del resto, in Italia, un centro vitale, Venezia. La gente che abbandonava Altino per sottrarsi alla contaminazione barbarica e andava a formare una nuova città nelle lagune, portava con sé una tradizione esarcale, ravennate, che si svilupperà attraverso i nuovi, diretti contatti con l’Oriente. Con l’Oriente Venezia è collegata dai suoi traffici marittimi, che però hanno come retroterra il Nord, l’Europa centrale: sarà infatti Venezia ad annodare la cultura artistica bizantina alla cultura nordica nascente, il gotico.
L’aristocrazia veneziana non è fatta da feudatari parassiti e prepotenti, ma di mercanti coraggiosi e fortunati: è un’aristocrazia borghese, aperta, legata al popolo dal sentimento della comunità insulare. Alla base della ricchezza o del valore non c’è la terra, ma il forziere colmo d’oro e di gemme: le cose preziose portate da paesi lontani contano più di ogni altra: Venezia ne è tutta adorna, sono i suoi trofei”.
Giulio Carlo Argan - pag. 262 del primo volume: Storia dell’arte italiana, Sansoni editore
Considerando il periodo rinascimentale, i mercanti non rivelano una particolare indipendenza nei confronti dei precetti della Chiesa né tanto meno prendono le distanze da essi. Essi consideravano la Chiesa in tutti i suoi gradi come potenza della quale si doveva sempre godere la benevolenza. Si rileva così che nelle loro famiglie un buon numero di membri si avviava alla carriera ecclesiastica e, proprio in conseguenza della posizione economica e sociale d’origine, occupava cariche di tutto rilievo, con ricadute significative sugli interessi dei parenti. Si deduce che il mercante si è imposto per il peso reale delle sue attività, per l’importanza dei propri servizi, per la capacità di costruirsi valori esistenziali propri (in questo periodo sono quasi del tutto inesistenti le condanne e le censure che nei secoli scorsi si erano manifestate contro certe attività mercantili), ma non ha rivendicato le proprie prerogative rispetto agli altri ceti e si è accontentato di inserirsi nella gerarchia consacrata, senza contestare la superiorità dello stato nobiliare ed ecclesiastico; anzi, gli è sembrato di potersi elevare socialmente entrando nelle file del clero e della nobiltà.
Caratteristiche specifiche ha il mercante internazionale con traffici a media, lunga ed anche lunghissima distanza per i quali si impone lo spostamento fisico dei giovani che vanno ad imparare il mestiere e talora degli operatori più anziani che hanno bisogno di sovrintendere di persona ad attività importanti e di grande responsabilità. Questi viaggi non si misurano solo a mesi e non di rado comportano anni di residenza all’estero. (ricordiamo che Iacomo Ragazzoni a quattordici anni (?) fu mandato in Inghilterra ad imparare il mestiere e vi rimase per molti anni; successivamente assolse di persona ad incarichi a Costantinopoli, corrrendo anche, pericolo di vita).
Tendenzialmente il mercante di quest’epoca non è un operatore specializzato e coltiva interessi in vari settori: acquista terre, immobili, si fa attirare dalle attività armatonali, come abbiamo precedentemente visto, ed investe talvolta anche in altri settori come titoli del debito pubblico e polizze di assicurazione.
Ma se i profitti erano assai ingenti, non per questo i guadagni erano regolari o automatici ed è lo stesso Gallucci a fornircene una prova. “La soddisfazione che il sig. Iacomo provava per i progressi del figlio Vettor nella carriera ecclesiastica fu resa amara da alcune avversità, poiché in brevissimo tempo perse, oltre ad altri vascelli in tempi diversi, quelle tre grossissime navi grazie alle quali era diventato famoso in tutto il mondo. Tuttavia, come nei momenti fortunati non si inorgoglì, così non si perse d’animo nelle avversità, ma con uguale forza sostenne i colpi della fortuna, avversa o amica che fosse, imitando i grandi eroi greci e latini... Con generosa sofferenza al figliolo Benedetto che gli aveva portato la notizia della perdita dell’ultima nave, con animo gentile e faccia allegra, forse per dargli un esempio, disse: “poiché il Mare non ci vuole, ci legheremo alla terra”. E così da Sacile, dove si trovava, lo rimandò a Venezia. La perdita di questa nave fu davvero grave perché aveva una grande capacità di carico, ma fu molto sorprendente che andasse a fuoco proprio nel porto di Malamocco dove poco prima un altro legno aveva fatto la stessa fine.” (madrigale di Benedetto pag. 112)”
La Fortuna è, quindi, un groviglio di insidie che il mercante è consapevole di non poter padroneggiare.
Rispetto a quelli del periodo precedente, i mercanti del rinascimento manifestano una maggior propensione ad investire i propri capitali in proprietà fondiarie, in immobili cittadini e in residenze extraurbane, assumendo poi uno stile di vita segnato dalla ricerca di maggiori comodità reali e di più significative gratificazioni sociali.
Nel delineare la figura dell’operatore economico, Leon Battista Alberti fin dalla prima metà del Quattrocento dava per scontato che la sua famiglia dovesse avere almeno un podere con una casa padronale nei pressi della propria città. Nel suo -De architectura- l’Alberti dedica di proposito varie pagine alla costruzione della villa, che non era certo riservata ormai solo ai nobili e agli ecclesiastici, ma era proposta piuttosto ai cittadini e agli uomini d’affari.
Conseguentemente, all’interno della società rinascimentale i mercanti italiani di un certo rango si concedono un tenore di vita tendenzialmente e talvolta apertamente aristocratico, ma non si preoccupano quasi mai di inserirsi nelle file della nobiltà, sia per le motivazioni sopra indicate, sia perché sono già membri di patriziati urbani di prestigio. Quando però entrano in contatto con principi esteri non disdegnano i titoli di cui vengono insigniti (cfr. il primo affresco in cui la Regina Maria d’Inghilterra riconosce pubblicamente le capacità di Iacomo consentendogli di aggiungere la rosa dei Tudor allo stemma di famiglia e l’altro affresco in cui Enrico III di Francia nomina cavaliere Placido Ragazzoni, onorando in tal modo tutta la famiglia per l’ospitalità ricevuta a Sacile in occasione del suo viaggio dalla Polonia alla Francia).
E’ ormai chiaro che il mercante è un personaggio di casa non solo nei governi delle città ma anche negli ambienti principeschi.
Complesso è, invece, il problema dei rapporti fra mercanti e le sfere dell’arte e della cultura del Rinascimento. Indiscutibile è l’attaccamento dei mercante alla sua dimora e il gusto per una residenza di prestigio. L’architettura, essendo in certo modo la forma d’arte con maggiori ricadute sociali, è quella a cui lui riserva la priorità. Non si appaga, infatti, della villa di campagna, ma edifica con maggiore impegno la sua casa in città che assume le proporzioni di un palazzo. Il linguaggio edilizio è quello più evidente, capace di celebrare e sanzionare il successo di una famiglia di mercanti. Si tratta in genere di costruzioni massicce ed imponenti ed i loro proprietari non hanno più nulla da invidiare su questo piano ai nobili e ai prelati. Con le altre forme d’arte i rapporti dei mercanti sono più variegati. Essi divengono sempre più committenti in proprio e non semplici finanziatori di opere ordinate collettivamente. E’ anche per questa via che si sviluppa sempre più in quest’epoca l’ìnteresse per il genere del ritratto e del monumento sepolcrale, ma cresce anche l’amore per gli affreschi delle mura sia esterne che interne delle proprie case così che, anche per la loro grande disponibilità di denaro, i mercanti gareggiano con i committenti nobili ed ecclesiastici contemporanei.