Avendo i Turchi stipato in alcune navi i sopravvissuti per trasferirli a Costantinopoli, Bellisandra, moglie di Pietro Albino e sorella del segretario dell’Eccellentissimo Senato di Venezia, gentildonna di animo molto coraggioso, per sfuggire ai futuri tormenti, con il consiglio della contessa di Tripoli, insieme ad altre cipriote ridotte schiave, una notte, prima che le navi salpassero, diede fuoco alle munizioni e bruciò non solo se stessa e la nave con tutte le persone a bordo, ma causò anche l’incendio di altre navi ancorate lì vicino.
La spedizione navale di Venezia, Spagna e del Papa apprese con grande costernazione la notizia della caduta di Nicosia mentre si trovava nei pressi del canale di Rodi, ma l’imminente arrivo della stagione invernale indusse a ritirarsi nel porto di Tristano.
Intanto tutta l’isola di Cipro, esclusa Famagosta, era in mano turca.
Il governatore della fortezza di Famagosta, Andrea Bragadin, insieme con gli altri responsabili si preparò ad affrontare l’assalto turco.
Il 18 settembre giunse al porto il feroce Mustafà che cominciò subito a costruire trincee e bastioni, ma la sua tattica gli procurò risultati piuttosto limitati con notevoli perdite, così che decise di ritirarsi a Nicosia e di aspettare un momento più favorevole, anche in considerazione dell’imminente arrivo della brutta stagione.
Gli abitanti di Famagosta si sentirono sollevati alla vista del porto libero dai Turchi, distrussero i bastioni da loro costruiti, inviarono a Venezia come loro ambasciatore Monsignor Gerolamo Ragazzoni, vescovo di Famagosta, fratello di Iacomo. All’inizio Gerolamo dimostrò parecchie esitazioni in quanto gli sembrava ingiusto abbandonare i suoi fedeli in un momento di tanta crisi, ma poi si risolse ad affrontare una non facile navigazione in un mare infestato di nemici.
Gli effetti della missione non mancarono: attraccarono al porto navi cariche di vettovaglie e di munizioni.
A Famagosta cominciavano a scarseggiare viveri, acqua e munizioni, molti soldati erano morti e non c’era modo di sfuggire all’incalzare del nemico; si decise così di procedere ad un accordo con i Turchi che doveva garantire il rispetto dei soldati e del loro equipaggiamento, l’incolumità e il rispetto del culto di quei cittadini che volessero rimanere a Cipro, il libero passaggio per chi invece volesse trasferirsi a Candia nell’arco di tre anni.
Mustafà accettò il patto, ma giurò in cuor suo che si sarebbe vendicato del lungo assedio e delle perdite subite. Marcantonio Bragadin e gli altri Signori uscirono dalla fortezza e si trasferirono nel padiglione di Mustafà, dove furono ricevuti cortesemente; di lì a poco, però, ad un segnale convenuto, i signori furono legati per poi essere tagliati a pezzi, mentre i soldati che si stavano imbarcando sulle navi furono resi schiavi e quelli che cercarono di difendersi tutti uccisi. Bragadin ebbe diversa sorte: dopo una lunga serie di umiliazioni, fu straziato crudelmente e scorticato vivo, egli seppe sopravvivere a tanto scempio per alcuni giorni.
La fama del Bragadin si deve all'incredibile resistenza che seppe opporre all'esercito che lo assediò, nonché all'orribile scempio cui fu sottoposto dopo la resa della sua città.
Dal punto di vista militare, la tenacia ed il protrarsi della resistenza degli assediati capitanati dal Bragadin richiese un ulteriore impiego di forze da parte turca che tennero tanto impegnati gli assedianti, così ché la Lega Santa ebbe il tempo di organizzare la flotta la quale poi sconfisse quella ottomana nella battaglia di Lepanto.
Le donne di Nicosia e l’eroismo dei difensori di Famagosta, in particolare del Bragadin hanno in palazzo Ragazzoni una loro memoria storica.